I KPI della Supply Chain trasformano processi complessi in numeri chiari e interpretabili, capaci di guidare le decisioni in modo oggettivo. In assenza di indicatori strutturati, la pianificazione si riduce a opinione, mentre la logistica scivola verso una gestione emergenziale e non controllata. La gestione dei fornitori, poi, procede senza direzione. Al contrario, un set di KPI coerente consente di individuare colli di bottiglia, stabilire priorità quantificabili e collegare le scelte operative ai risultati economici.
Un sistema di misurazione efficace non si limita a raccogliere dati, ma li organizza in dashboard funzionali e li integra in routine di controllo che assicurano continuità e governance. Attraverso indicatori mirati e aggiornati, il management può monitorare performance reali, prevenire criticità e costruire un processo decisionale basato su evidenze concrete.
I KPI forniscono un linguaggio comune tra acquisti, pianificazione, produzione e logistica. Un indicatore ben definito spiega cosa misurare, come calcolarlo, da dove estrarre i dati e qual è il valore obiettivo. Questo rende confrontabili reparti e periodi diversi, evita interpretazioni arbitrarie e crea le basi per decisioni rapide. La trasparenza sui numeri riduce la variabilità dei processi, limita le attività non a valore e facilita la prevenzione dei fermi linea.
Gli indicatori più efficaci sono pochi, stabili e direttamente collegati agli obiettivi strategici. Nella Supply Chain, il framework più solido per valutare le performance è rappresentato dal triangolo Quality–Cost–Delivery (QCD): qualità dei processi e dei prodotti, costo totale delle operazioni e livello di servizio al cliente. Il bilanciamento tra queste tre dimensioni evita ottimizzazioni locali che possono generare effetti collaterali, ad esempio ridurre le scorte in modo indiscriminato con impatto negativo sull’OTIF – On Time in Full o sulla qualità della consegna. Monitorare le direttrici QCD in modo integrato consente di orientare le decisioni verso il miglior compromesso tra efficienza, affidabilità e soddisfazione del cliente.
“Ciò che non si misura non si migliora” vale solo se la misurazione porta ad azione. Ogni KPI deve avere un owner, una soglia di warning, un piano di rientro e una cadenza di verifica. Quando un indicatore esce dal range, il team sa chi decide, entro quando e quali leve usare: parametri MRP, lotti, frequenze di consegna, saturazioni, layout, modalità di approvvigionamento o riordino. Il valore del KPI è quindi duplice: descrive la realtà e attiva un ciclo strutturato di miglioramento.
Nel tempo la maturità del sistema cresce. Si parte con misure di base ad alta accessibilità, poi si introducono indicatori più evoluti e segmentazioni per prodotto, cliente, fornitore e stabilimento. Questo percorso progressivo mantiene il controllo e aumenta la precisione delle scelte.
Gli indicatori si distinguono in operativi e strategici. I primi governano il giorno per giorno: accuratezza inventariale, puntualità inbound, produttività di picking, lead time d’attraversamento, % rilavorazioni, saturazione mezzi, scarti e danni. I secondi misurano l’effetto complessivo: livello di servizio (misurato ad esempio con l’OTIF – On Time In Full),rotazione scorte, giorni di copertura, costo logistico su fatturato, puntualità al cliente e indicatori sintetici di efficienza produttiva, come l’OEE, quando rilevante rispetto agli obiettivi di progetto.
Collegare i due livelli evita distorsioni: il miglioramento operativo deve sempre riflettersi in un beneficio strategico misurabile. Se aumenta la produttività ma cala l’OTIF, la soluzione è incompleta. La coerenza tra i livelli assicura che le iniziative operative sostengano gli obiettivi economici e di servizio.
La misurazione senza routine perde efficacia. Una governance robusta prevede: verifica degli scostamenti critici, riunione settimanale per piani di rientro e review mensile con trend, cause radice e decisioni di investimento. Ogni meeting ha una “short list” di KPI focali, azioni assegnate e scadenze. Questa disciplina crea affidabilità: le persone comprendono cosa conta, i problemi emergono presto, le correzioni sono rapide. Nel tempo, la prevedibilità cresce e la variabilità si riduce, con effetti diretti su margini e soddisfazione del cliente.
Una dashboard operativa utile è semplice da leggere, aggiornata con cadenza definita e costruita su dati certificati. Deve mostrare trend, target e soglie, con drill-down per articolo, fornitore, cliente e stabilimento. Colori e visualizzazioni sono funzionali: semafori per soglie, linee per trend, istogrammi per volumi, tabelle per eccezioni. La regola è una: ogni grafico deve sostenere una decisione concreta da prendere oggi.
La coerenza tra definizioni è cruciale. Se “OTIF” include o esclude posticipi concordati, deve essere scritto. La data lineage è documentata: fonte, trasformazioni, frequenza, responsabilità. Solo così i numeri diventano affidabili e condivisi tra funzioni, evitando discussioni sterili sull’origine dei dati.
Gli strumenti possono variare da report BI a cruscotti integrati con ERP/WMS/TMS. L’importante è garantire integrità, refresh coerente con il ciclo decisionale e possibilità di dettaglio fino al singolo ordine. Funzioni utili: alert automatici, commenti contestuali, storico delle modifiche ai target e tracciabilità delle azioni intraprese. Le integrazioni con i sistemi aziendali — come ERP, WMS, TMS o moduli di pianificazione — consentono di chiudere il ciclo tra KPI e azioni correttive: dall’analisi dei dati all’aggiornamento di parametri, processi o priorità operative, e viceversa. Questo allineamento trasforma la dashboard in uno strumento attivo, capace di generare interventi puntuali e guidare il miglioramento continuo lungo tutta la Supply Chain.
Il passaggio chiave è collegare i KPI a leve di intervento. Se l’OTIF scende, si apre il ventaglio cause: parametri MRP errati, tempi di set-up, capacità insufficiente, ritardi inbound o errori di previsione. La dashboard guida la diagnosi con filtri per famiglia prodotto, fornitore e impianto, fino a isolare la leva più efficace.
Ogni decisione ha un mini-business case: beneficio atteso, costo, tempo di implementazione e impatto su altri KPI. Questa logica “dati → decisione → impatto” concentra gli sforzi dove il rapporto effort/benefici è più alto. Il monitoraggio successivo chiude il ciclo, confermando o correggendo l’ipotesi iniziale.
Misurare bene significa anche confrontarsi. Il benchmarking colloca i propri KPI rispetto a best practice e competitor. Non tutti i settori hanno gli stessi valori di riferimento; perciò, la comparazione va normalizzata per mix, canali e complessità. L’obiettivo non è imitare, ma definire obiettivi realistici e ambiziosi, coerenti con il posizionamento e la strategia commerciale.
Il confronto periodico evita il rischio di percezioni distorte delle performance interne, ad esempio un buon livello di servizio può nascondere costi eccessivi o stock troppo alti. Il benchmark integra la lettura interna e suggerisce dove investire per ottenere il massimo ritorno.
Servizio: l’OTIF (On Time In Full) misura la % di consegne puntuali e complete al cliente. A supporto, si utilizzano indicatori specifici: “puntualità spedizioni” misura il rispetto delle date di uscita previste dal magazzino, mentre “puntualità consegne” valuta il rispetto della data di arrivo concordata presso il cliente. La distinzione consente di individuare se le deviazioni dipendono da processi interni o dalla rete distributiva:
Collegare questi KPI a driver operativi consente interventi mirati: ad esempio, se le rotazioni di magazzino aumentano ma cresce anche il numero di stock-out, è segno che le politiche di riordino sono troppo spinte; se aumentano le rotazioni ma cala l’OTIF, potrebbe essere che le politiche di stock siano troppo aggressive e stiano riducendo la disponibilità di prodotto nei momenti critici. Le relazioni tra indicatori rivelano i trade-off reali e guidano un’ottimizzazione di sistema.
Per impostare il tuo set: definisci lo scopo (quale decisione guiderà il KPI), scrivi formula e fonte dati, stabilisci target e soglie, assegna un owner, fissa cadenza e sede di verifica, specifica le azioni previste fuori soglia. Verifica poi coerenza tra reparti, possibilità di drill-down, disponibilità storica e compatibilità con il ciclo decisionale. Se un indicatore non genera decisioni, va semplificato o rimosso.
Questa checklist mantiene il cruscotto snello e orientato all’azione. Pochi KPI ben costruiti creano disciplina e risultati; molti indicatori senza responsabilità diluiscono l’attenzione e rallentano l’esecuzione.
Makeitalia supporta le imprese nella definizione di KPI e nella costruzione di dashboard operative che collegano dati, processi e risultati. Il lavoro parte da una diagnosi della qualità informativa, prosegue con la standardizzazione delle definizioni e si traduce in routine di controllo che rendono gli indicatori vivi e utili. L’obiettivo è spostare l’attenzione dai report alla decisione.
Con un percorso progressivo, l’azienda ottiene visibilità sui driver di costo, aumenta la prevedibilità delle consegne, ottimizza scorte e flussi e consolida il livello di servizio. I KPI diventano il pilota automatico della Supply Chain: pochi numeri chiari che indicano dove intervenire e quanto valore si sta generando.
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